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Venerdì 8 giugno 2012 la Fondazione Valenzi ha ospitato il confronto sul tema “Lavoro che cambia, lavoro che manca”, che ha visto quali protagonisti dell’iniziativa: Paolo Graziano, presidente dell’Unione degli industriali di Napoli e Pierre Carniti, sindacalista, moderati dall’economista Massimo Lo Cicero, alla presenza della presidente della Fondazione Lucia Valenzi e del giornalista Franco Iacono.
Tre i temi di discussione sollevati da Lo Cicero: la crisi come problema non circoscritto all’Italia, lo sviluppo del Mezzogiorno e il lavoro che cambia. Graziano e Carniti hanno esposto le loro opinioni in merito.
Graziano ha innanzitutto messo in evidenza le peculiarità della crescita Italiana, crescita basata sul debito che ha ipotecato il futuro del paese. Ad oggi in Italia il saldo delle imprese che nascono e muoiono è negativo, unico caso in Europa, mentre altre nazioni restano stabili o crescono come avviene per la Germania.
Il problema principale per Graziano è la troppa influenza conquistata dalla finanza sulle imprese, imprese schiacciate da tassi di interesse che non consentono alcuna possibilità di investimento. Il lavoro che manca non può essere creato solo riformando l’articolo 18, problema non centrale per gli imprenditori.
La politica del governo si concentra soprattutto sul problema del debito pubblico ignorando i gravi danni sia diretti che indiretti causati dalla mancanza di lavoro, perché “come possono le famiglie pensare all’istruzione dei propri figli o alla salute se non hanno la sicurezza di un lavoro alle spalle”.
La crisi, per Graziano, va affrontata comprendendo che è un problema di tutti. La questione del Mezzogiorno va risolta cambiando metodo, con nuove politiche sia a livello pubblico che d’impresa. Lavoro che cambia e che deve adeguarsi alle nuove esigenze di mercato prendendo decisioni in merito anche all’orario di lavoro, aumentando il numero dei part-time per permettere a tutti di lavorare anche se ad orario ridotto.
Pierre Carniti ha illustrato i dati Istat sulla disoccupazione al 10%, stima che non prende in considerazione gli scoraggiati, ossia coloro che, pur disoccupati, hanno smesso di cercare attivamente lavoro, ne le persone che si trovano bloccate nel limbo della cassa integrazione. Il ministro Passera parla di almeno 56 milioni di disoccupati. Ben 28 milioni di italiani attualmente si trovano in situazione di disagio economico.
Secondo Carniti, è cambiato oramai il rapporto tra lavoratori e lavori, e la classe politica italiana sembra non essersene resa conto. Le uniche decisioni prese riguardo la politica economica del paese sono quelle dettate dall’Unione Europea. Si è fatta la riforma delle pensioni e ora quella dell’articolo 18, riforme che non creano nessun nuovo posto di lavoro. Anche gli incentivi per i giovani o altre categorie non sono efficaci se il numero totale di posti di lavoro non aumenta.
Tentare di affrontare questi problemi con la cura dimagrante imposta dall’Europa, per Carniti, si è dimostrato del tutto fallimentare, perché una vera ripresa si può avere solo facendo crescere la domanda interna. Se le persone non hanno soldi non comprano e poiché circa l’80% del Pil italiano è composto da consumi interni se questi non aumentano non si può sperare in una ripresa.
La crescita dei consumi può essere stimolata solo in due modi: o si diminuiscono le tasse sul lavoro o si aumentano i salari. Per Pierre Carniti la strada migliore per l’Italia è la prima, ridurre la pressione fiscale sul costo del lavoro, e ci suggerisce anche dove trovare la copertura finanziaria, per esempio tramite la lotta all’evasione e tassando i giochi d’azzardo.
Poi Carniti, d’accordo con Graziano, ha concluso proponendo per l’immediato di ripartire il poco lavoro che c’è aumentando il numero di lavoratori part-time, consentendo a tutti di lavorare, cambiando rotta rispetto scelte fatte in seno al governo Berlusconi che ha incentivato gli straordinari tramite la loro detassazione.